Al fine di “proteggere” i lavoratori a tempo determinato, in questo periodo di crisi non solo sanitaria ma anche economica da COVID-19, per dare continuità alla prestazione lavorativa e quindi anche al rapporto di lavoro il Governo è intervenuto due volte, con due disposizioni contenute nel decreto “cura Italia” (Legge 27/2020) e nel recente decreto “Rilancio” (D.L. 34/2020). L’obiettivo delle due disposizioni è la possibilità di prorogare e rinnovare contratti a tempo determinato anche a scopo di somministrazione.

In primis, la norma stabilisce la possibilità di derogare dall’obbligo di causale “per far fronte al riavvio delle attività in conseguenza all’emergenza epidemiologica da COVID-19”. In questa frase sembra sia fornita una motivazione che “libera” l’azienda a prorogare e rinnovare i contratti a termine. Infatti, con una interpretazione restrittiva, la norma potrebbe essere applicata soltanto alle aziende che hanno, nei mesi scorsi, chiuso le proprie attività lavorative e che ora stanno riavviando la produzione, lasciando fuori, viceversa, quelle aziende che non hanno mai chiuso. Ritengo non plausibile questa interpretazione e che l’indicazione fornita dal legislatore sia solo una premessa alla vera e propria disposizione di legge.
In secondo luogo, la regola prevede la possibilità di prorogare o rinnovare solo i contratti a tempo determinato in essere alla data del 23 febbraio 2020. Questo è un problema di non poco conto, in quanto lascia fuori una serie di contratti stipulati dopo tale data o conclusi poco prima.
Terza, se vogliamo così dire, stranezza della norma, è il fatto che la durata del rapporto a tempo determinato, prorogato o rinnovato in ragione di questa disposizione, non potrà eccedere la data del 30 agosto 2020, indipendentemente dal fatto che non si sia ancora raggiungo il massimale di durata previsto dal comma 2, dell’articolo 19, del decreto legislativo 81/2015, ovvero da quanto previsto dalla contrattazione collettiva di riferimento del datore di lavoro. Ciò dovrà costringere le parti ad effettuare, nel migliore dei casi, una proroga con l’inserimento della causale, e nel peggiore (qualora raggiunto il numero massimo di proroghe disponibili), la cessazione del rapporto di lavoro e la successiva riassunzione solo dopo aver dato corso al periodo di “vacanza” contrattuale, obbligatorio tra due contratti a termine.
Ricapitolando, queste le casistiche che prevedono (o meno) l’obbligo della causale nel contratto a tempo determinato.
Non obbligo della causale
Obbligo della causale
Primo contratto a termine con il lavoratore, di durata non superiore ai 12 mesi (contratto non attivabile nel periodo di fruizione degli ammortizzatori sociali COVID-19, per le mansioni poste in Cassa)
Primo contratto a termine con il lavoratore, di durata superiore ai 12 mesi (contratto non attivabile nel periodo di fruizione degli ammortizzatori sociali COVID-19, per le mansioni poste in Cassa)
Proroga di un primo contratto a termine che, nella sua totalità, non superi la durata di 12 mesi
Proroga di un primo contratto a termine stipulato dopo il 23 febbraio 2020, qualora, nella sua totalità, superi la durata di 12 mesi
Proroga di un primo contratto a termine che, nella sua totalità, superi la durata di 12 mesi, esclusivamente qualora il contratto sia in essere al 23 febbraio 2020 (la scadenza del contratto non potrà andare oltre il 30 agosto 2020)
Proroga all’interno di un rinnovo del contratto a termine, qualora il contratto sia iniziato dopo il 23 febbraio 2020
Rinnovo di un contatto a termine, qualora il precedente contratto era in essere al 23 febbraio 2020 (la scadenza del contratto non potrà andare oltre il 30 agosto 2020)
Rinnovo di un contatto a termine, qualora il precedente contratto non era in essere al 23 febbraio 2020 (in quanto terminato prima del 23 febbraio o avviato dopo tale data)
Proroga all’interno di un rinnovo del contratto a termine, qualora il contratto sia in essere al 23 febbraio 2020 (la scadenza del contratto non potrà andare oltre il 30 agosto 2020)