La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 12060 del 7 maggio 2025, ha affermato un principio chiaro: il superamento del periodo di comporto (cioè il limite massimo di assenze per malattia previsto dal contratto collettivo) non legittima il licenziamento di una lavoratrice in stato di gravidanza.
La pronuncia ribadisce l’importanza della normativa speciale a tutela della maternità, che prevale su ogni altra regola generale in materia di assenze dal lavoro.

 Il quadro normativo: tutela rafforzata per la maternità
Il divieto di licenziamento durante la gravidanza è sancito dall’articolo 54 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
Tale norma stabilisce che:

“Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino.”

Il comma 2 dello stesso articolo precisa che la lavoratrice deve documentare lo stato di gravidanza con idonea certificazione.
Il comma 3 individua le sole eccezioni in cui il licenziamento è ammesso:

  • colpa grave della lavoratrice;
  • cessazione dell’attività aziendale;
  • scadenza del contratto a tempo determinato;
  • esito negativo del periodo di prova.

Al di fuori di questi casi tassativi, ogni licenziamento è nullo, anche se legato al superamento del comporto.

Norma speciale vs norma generale
Secondo la Cassazione, l’articolo 54 del Decreto Legislativo 151/2001 prevale sulla disciplina generale prevista dall’articolo 2110 del Codice Civile, che regola la conservazione del posto durante malattia.
Infatti, la norma sulla maternità è:

  • successiva nel tempo,
  • speciale per materia,
  • imperativa nella tutela della salute e dignità della lavoratrice madre.

Durata del divieto
La protezione prevista dall’articolo 54 del D.Lgs. 151/2001 copre:

  • tutto il periodo di gravidanza;
  • i tre mesi successivi al parto;
  • l’intero primo anno di vita del bambino.

Durante questo arco temporale, il licenziamento è sempre nullo, anche se fondato su motivi oggettivi o disciplinari non gravi.

Le conseguenze del licenziamento nullo
Se il datore di lavoro viola il divieto previsto dall’articolo 54 del D.Lgs. 151/2001, il licenziamento:

  • viene dichiarato nullo;
  • la lavoratrice ha diritto alla reintegra nel posto di lavoro;
  • il datore è tenuto a pagare tutte le retribuzioni arretrate dalla data del licenziamento.

Tutto ciò si fonda sulle tutele previste anche dall’articolo 18 della Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), per i casi di nullità del licenziamento.

Le eccezioni previste dalla legge
Come chiarito dal comma 3 dell’articolo 54 del D.Lgs. 151/2001, l’unico modo lecito per licenziare una lavoratrice in gravidanza è:

  • in presenza di giusta causa (comprovata colpa grave);
  • in caso di cessazione definitiva dell’attività aziendale;
  • alla scadenza naturale di un contratto a tempo determinato;
  • se il periodo di prova si conclude negativamente.

In tutti gli altri casi, il licenziamento è da considerarsi illecito e inefficace.

Conclusioni
La ordinanza n. 12060 del 7 maggio 2025 conferma che il superamento del comporto non giustifica mai il licenziamento della lavoratrice incinta.
La tutela riconosciuta dall’articolo 54 del D.Lgs. 151/2001 è inderogabile, e il datore di lavoro che viola questo divieto incorre in sanzioni gravi.

Fonti normative e ufficiali