Contratti collettivi nazionali e peso sindacale: una decisione senza schierarsi.

La legge 144 del 2025 dà un compito preciso: capire quali accordi nazionali vengono usati davvero in Italia e prenderli come base, così ogni lavoratore riceve almeno una paga minima secondo quanto dice l’articolo 36 della Costituzione. L’intento è pratico, non teorico: evitare che le persone guadagnino troppo poco e fermare la crescita continua di contratti fatti apposta per pagare meno, invece che per difendere i dipendenti.

In attesa che il governo trasformi l’incarico in regole chiare, c’è un tema importante per tante aziende: succede qualcosa se un’impresa usa un accordo collettivo fuori dai principali? Prima di tutto va detto: in Italia vige la libertà sindacale. Nessuna legge costringe un datore a seguire un certo contratto nazionale, lo conferma pure il ministero del Lavoro in una circolare del 24 marzo 2015. Però, pur essendo liberi sulla carta, ci possono essere problemi concreti se si sceglie un’intesa firmata da sigle meno rappresentative. È qui che nascono le criticità.

L’ingresso agli aiuti legali o economici dipende prima di tutto dal DURC e dall’adempimento delle regole vigenti; però serve pure usare i patti stipulati da sindacati davvero riconosciuti. Già dal 2006 la legge dice una cosa netta: se si sceglie un accordo poco diffuso, si possono perdere tutti gli sconti previsti.

Anche per i versamenti obbligatori il discorso è simile. Le paghe usate come riferimento non possono essere inferiori a quelle stabilite dai contratti collettivi nazionali delle sigle maggiormente presenti sul terreno. Lo Stato ci ha tenuto a ripeterlo spesso, specie nel precisare che se esistono più accordi per una stessa figura, conta solo quello firmato dagli interlocutori davvero significativi. In pratica, l’INPS potrebbe ignorare uno stipendio stabilito da un’intesa poco autorevole, portando così a controlli, richieste di soldi arretrati e multe.

La questione diventa più complessa se si pensa ai bonus senza tasse. Per usare la tassa ridotta, serve che quei premi vengano dati grazie a intese aziendali oppure locali fatte seguendo quanto dice l’articolo 51 del D.Lgs. 81/2015; quindi solo dentro certe categorie ben definite. Se invece il patto non è valido, tutti i benefici fiscali saltano: male per l’impresa, peggio ancora per chi riceve lo stipendio extra.

Anche l’articolo 51 del decreto legislativo 81/2015 conta molto per regolare diversi tipi di contratti. Oppure, nel lavoro stagionale, nei contratti a termine e negli apprendistati, i patti collettivi completano spesso le norme previste dalla legge. Tuttavia, questo potere c’è soltanto quando firmano sindacati davvero riconosciuti. Se invece intervengono entità poco chiare, ogni modifica o adattamento resta senza valore agli occhi della giustizia. L’Ispettorato nazionale del lavoro, nella circolare 3/2018, l’ha detto chiaramente. Usare un accordo poco valido porta via le possibilità di adattamento date ai sindacati dal governo; quando capita peggio, c’è pericolo che il lavoro diventi fisso senza scampo.

Le ripercussioni riguardano pure il ruolo lavorativo. Per norma, gli incarichi vanno in linea con quanto scritto nei profili del contratto collettivo. Qualora il CCNL usato non sia valido come riferimento, nasce di certo un disallineamento tra compiti dati e stipendio giusto, rischiando così reclami dai dipendenti.

Alla fine, si tende a ignorare una cosa semplice però reale: i ricorsi per gap stipendiali. Chi ha uno stipendio basso può pretendere almeno il salario indicato nel contratto collettivo più diffuso nella sua area, appoggiandosi alla regola costituzionale che parla di compenso giusto e adeguato. Senza un accordo valido da usare come riferimento economico, la pretesa del dipendente potrebbe essere accolta senza troppi problemi.

In fondo, scegliere un contratto collettivo si può, però ci sono dei paletti e comunque sempre qualche ripercussione. La norma della legge 144/2025 dovrebbe chiarire meglio le cose. Intanto, per le aziende, il punto non è tanto trovare il CCNL più vantaggioso, bensì capire quale regge davvero da tutti i punti di vista: legali, tasse, contributi e stipendi.