Con l’Ordinanza n. 19467/2025, la Corte di Cassazione ha ribadito che gli accordi aziendali (contratti di prossimità) non possono ridurre il minimale contributivo previsto per legge.

Il principio
La contribuzione previdenziale deve essere calcolata su una retribuzione non inferiore a quella prevista dall’art. 1 del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338convertito nella Legge 7 dicembre 1989, n. 389.
Anche se un contratto aziendale stipulato secondo l’art. 8 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138convertito nella Legge 14 settembre 2011, n. 148, prevede salari più bassi, questi non possono valere ai fini del calcolo contributivo INPS.

Il caso concreto
Un’azienda aveva applicato un contratto di prossimità legato al CCNL Multiservizi FISE UNCI, con retribuzioni inferiori rispetto a quelle del CCNL Terziario.
L’INPS ha però richiesto i contributi in base alle retribuzioni minime del CCNL del settore effettivo, applicando il criterio dell’art. 2070 c.c., che stabilisce che il contratto di riferimento è quello del settore di attività realmente svolta.

 La decisione della Corte
Secondo la Cassazione:

  • La retribuzione utile ai fini del calcolo contributivo non può essere ridotta da un contratto di prossimità, in quanto la materia previdenziale è regolata da norme imperative (richiamo all’art. 2115 c.c.).
  • Il riferimento resta la retribuzione prevista dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
  • Non rileva se l’accordo aziendale è stato validamente sottoscritto, poiché non può prevalere sul livello minimo previsto per legge.

Giurisprudenza di supporto
La decisione richiama precedenti consolidati, tra cui: