Con la sentenza n. 17008 del 25 giugno 2025, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro ha precisato che nel diritto italiano non esiste un principio generale di parità retributiva tra lavoratori che svolgono le stesse mansioni, quando si tratta di rapporti di lavoro di natura privatistica.

Secondo la Suprema Corte, l’art. 36 della Costituzione garantisce al lavoratore una retribuzione proporzionata e sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa, ma non impone un confronto diretto con le retribuzioni di altri dipendenti.
Allo stesso modo, l’art. 3 della Costituzione tutela il principio di uguaglianza “di fronte alla legge”, e non tra privati nell’ambito dei rapporti di lavoro.

La Corte ha ribadito che il datore di lavoro privato non è obbligato a corrispondere la stessa retribuzione o lo stesso inquadramento a tutti i dipendenti che svolgono mansioni analoghe.
Ciò significa che differenze retributive o di qualifica contrattuale possono sussistere anche tra lavoratori impiegati nello stesso reparto o nello stesso ruolo, purché:

La semplice circostanza che in passato un datore di lavoro abbia attribuito una qualifica superiore a un dipendente che svolgeva le stesse mansioni non crea un diritto automatico per gli altri lavoratori ad avere lo stesso inquadramento o la stessa retribuzione.

Perché un lavoratore possa rivendicare un trattamento economico o normativo superiore, deve dimostrare che:

  • l’inquadramento assegnato non corrisponde alle effettive mansioni svolte, in violazione dell’art. 2103 del Codice civile; oppure
  • vi sia stata una discriminazione fondata su motivi tutelati dalla legge.

la sentenza della Cassazione n. 17008/2025 e la Direttiva (UE) 2023/1970 sono in contrasto?

la sentenza della Cassazione n. 17008/2025 si muove su un piano diverso rispetto alla nuova normativa europea sulla parità di trattamento retributivo introdotta con la Direttiva (UE) 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, recepita in Italia nel 2025, ma i due ambiti non sono in contraddizione diretta.
Vediamo perché, distinguendo con precisione campo di applicazione, fondamento giuridico e oggetto di tutela.

La Corte di Cassazione ha chiarito che nel diritto interno privato non esiste un principio generale che obblighi il datore di lavoro a riconoscere identico trattamento retributivo o di inquadramento a tutti i lavoratori che svolgono le stesse mansioni, se non vi sono discriminazioni vietate.
La decisione si fonda sull’art. 36 Cost., che garantisce solo il diritto a una retribuzione proporzionata e sufficiente, e sull’assenza di un principio di uguaglianza interprivata generalizzata (art. 3 Cost.).

In sostanza, la Cassazione ha ribadito che:

  • la parità retributiva automatica non è un principio di legge universale;
  • è invece obbligatoria solo quando la disparità dipende da motivi discriminatori (sesso, età, origine, opinioni, appartenenza sindacale, ecc.), già vietati da normative specifiche come il D.Lgs. n. 198/2006 e il D.Lgs. n. 216/2003.

La Direttiva (UE) 2023/970, relativa alla trasparenza retributiva e all’applicazione del principio di parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, è stata recepita in Italia nel 2025 (decreto di attuazione atteso in Gazzetta Ufficiale).
Questa direttiva impone agli Stati membri di:

  • garantire parità retributiva effettiva tra donne e uomini per lavori uguali o di pari valore;
  • introdurre obblighi di trasparenza (informazioni sulle retribuzioni già in fase di assunzione);
  • consentire ai lavoratori di accedere ai dati salariali medi per categoria e livello;
  • prevedere sanzioni e risarcimenti per discriminazioni retributive di genere.

Dunque, la direttiva non afferma che tutti i lavoratori debbano percepire la stessa retribuzione per mansioni simili, ma che nessuna differenza possa derivare dal genere o da altri fattori vietati.

Perché non c’è contrasto
La Cassazione si è pronunciata su rapporti di lavoro tra privati in cui non era in discussione una discriminazione (né di genere, né di altra natura), ma solo un confronto economico tra colleghi.
La Direttiva (UE) 2023/970, invece, opera in ambito antidiscriminatorio e non incide sulla libertà retributiva del datore di lavoro in assenza di elementi di disparità vietata.

In sintesi:

Aspetto Cassazione n. 17008/2025 Direttiva (UE) 2023/970
Oggetto Differenze di trattamento tra lavoratori con stesse mansioni Parità retributiva tra uomini e donne
Base giuridica Art. 36 e 3 Cost. (proporzionalità e uguaglianza formale) Art. 157 TFUE e Carta dei diritti fondamentali dell’UE
Ambito Rapporto privatistico generale Discriminazioni di genere e trasparenza salariale
Principio Nessun obbligo di parità salariale assoluta Obbligo di parità salariale per lavori di pari valore tra uomini e donne

La nuova normativa europea rafforza gli strumenti di controllo sulle differenze retributive, rendendo più difficile per il datore di lavoro giustificare trattamenti economici difformi, specie se non supportati da criteri oggettivi (anzianità, risultati, qualifiche specifiche, responsabilità).
Dunque, pur non contraddicendo la sentenza, ne restringe in pratica la portata applicativa, poiché:

  • ogni differenza salariale deve ora essere oggettivamente giustificabile e documentabile;
  • il principio di trasparenza retributiva rende più agevole dimostrare eventuali discriminazioni indirette.

Non c’è conflitto diretto tra la sentenza Cass. n. 17008/2025 e la Direttiva (UE) 2023/970, ma un cambiamento di contesto:
la Corte ha riaffermato un principio civilistico tradizionale, mentre il diritto dell’Unione europea spinge verso una parità retributiva sostanziale e verificabile, almeno per quanto riguarda la differenza di genere e i lavori di pari valore.

In prospettiva, l’attuazione completa della direttiva renderà più difficile per i datori di lavoro giustificare differenze di trattamento non basate su ragioni obiettive e trasparenti.
La pronuncia della Cassazione, quindi, non è incompatibile, ma sarà destinata a essere interpretata in chiave evolutiva alla luce delle nuove norme europee.