Secondo la sentenza n. 12270 del 9 maggio 2025 della Cassazione (Sezione Lavoro), il datore di lavoro che intenda licenziare un lavoratore disabile divenuto fisicamente inidoneo alle mansioni deve provare di aver ricercato accomodamenti ragionevoli, cioè soluzioni organizzative concrete e sostenibili per permettere al dipendente di continuare a lavorare in modo compatibile con la propria condizione. È inoltre tenuto a dimostrare di aver agito con diligenza, verificando la possibilità di assegnare il lavoratore a mansioni differenti o adattate, con lo scopo di evitare il licenziamento. Questa responsabilità è coerente con le disposizioni del D.Lgs. n. 216/2003, che ha recepito in Italia la Direttiva 2000/78/CE dell’Unione Europea, la quale impone a datori pubblici e privati di adottare misure appropriate per garantire la parità di trattamento delle persone con disabilità, salvo che tali misure comportino un onere sproporzionato. L’obbligo di ricerca attiva di soluzioni non può essere eluso: il datore deve dimostrare di aver valutato tutte le possibilità concrete, come orari ridotti, adattamenti delle mansioni, trasferimenti o impiego in smart working, a meno che queste soluzioni siano irragionevoli o troppo onerose. La mancata adozione di misure compatibili può configurare discriminazione indiretta e rendere illegittimo il licenziamento. Questo principio è confermato anche da vari Interpelli, e si inserisce in un contesto giurisprudenziale ormai consolidato, che riconosce pienamente il diritto del lavoratore disabile a un tentativo serio e documentato di ricollocazione prima del recesso.