Questione n. 1

Il lavoratore illegittimamente licenziato ha diritto al risarcimento del danno?

La legge riconosce al lavoratore ingiustamente licenziato il diritto di percepire un’indennità risarcitoria; in taluni casi (ormai del tutto residuali) detta tutela si aggiunge all’ulteriore diritto di vedersi reintegrato nel posto di lavoro.

A seguito della riforma del 2015, nota come Jobs Act, i criteri per la definizione di tale indennità variano profondamente a seconda che il dipendente sia stato assunto prima o dopo il 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23/15, che contiene la disciplina del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.

 

1. L’indennità risarcitoria spettante ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015.

Se il licenziamento illegittimo riguarda un lavoratore assunto prima del 7 marzo 2015, la disciplina applicabile è quella contenuta nell’art. 18 della legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori) e nell’art. 8 della legge 604/66. Tali norme prevedono un unico regime di tutela in caso di licenziamento discriminatorio, nullo o inefficace; nelle altre ipotesi di licenziamento illegittimo, invece, la tutela varia a seconda delle dimensioni del datore di lavoro.

 

1.1 L’indennità risarcitoria in caso di licenziamento discriminatorio, nullo e inefficace

Allorché il licenziamento sia dichiarato nullo (perché discriminatorio, oppure perché comminato in costanza di matrimonio o in violazione delle tutele previste in materia di maternità o paternità oppure negli altri casi previsti dalla legge) o inefficace (perché intimato in forma orale), tutti i lavoratori beneficiano – oltre alla reintegrazione nel posto di lavoro – di un’indennità risarcitoria pari alla retribuzione maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, e in ogni caso non inferiore alle 5 mensilità. Dall’importo deve essere dedotto quanto eventualmente percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative.

Fermo restando tale risarcimento, il lavoratore ha inoltre la possibilità di sostituire la reintegrazione nel posto di lavoro con un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. La richiesta dell’indennità sostitutiva deve avvenire entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza e determina la risoluzione del rapporto di lavoro.

 

1.2 L’indennità risarcitoria spettante a un lavoratore assunto (prima del 7 marzo 2015) presso un’impresa di maggiori dimensioni

Fuori dalle suddette ipotesi, l’ammontare dell’indennità varia a seconda delle dimensioni del datore di lavoro.

Nello specifico, al lavoratore assunto (prima del 7 marzo 2015) presso un datore di lavoro che supera le soglie dimensionali fissate dall’art. 18 della legge 300/1970, si applicano i criteri contenuti nel medesimo articolo 18.

Tale norma, a seguito della riforma del 2012, che ha rinnovato profondamente il regime di tutela applicabile in caso di licenziamento illegittimo, prevede regimi di tutela diversi a seconda del tipo di vizio che caratterizza il licenziamento.

Quando non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa per insussistenza del fatto contestato o perché il fatto rientra fra le condotte punibili con una sanzione conservativa, il giudice applica la cd. tutela reintegratoria attenuata, in forza della quale al lavoratore spetta sia la reintegrazione nel posto di lavoro sia la corresponsione di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto sia ciò che il lavoratore ha effettivamente percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, sia ciò che lo stesso avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. Il legislatore fissa inoltre un limite massimo per il risarcimento, che non può in ogni caso superare un importo pari a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.

La tutela reintegratoria attenuata si applica anche nei casi di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; (ii) licenziamento intimato per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore; (iii) licenziamento intimato nel periodo di comporto.

Nelle altre ipotesi in cui non ricorrano gli estremi della giusta causa, del giustificato motivo soggettivo e del giustificato motivo oggettivo addotto dal datore di lavoro per legittimare il recesso, il giudice applica la c.d. tutela obbligatoria standard, ossia condanna il datore al pagamento di un’indennità risarcitoria in una misura compresa fra 12 e 24 mensilità della retribuzione globale di fatto, tenendo conto dell’anzianità del lavoratore, del numero dei dipendenti, della dimensione dell’attività economica e del comportamento e condizioni delle parti).

Nei casi di licenziamento illegittimo per carenza di motivazione o per inosservanza degli obblighi procedurali previsti per il licenziamento disciplinare o per giustificato motivo oggettivo, infine, al lavoratore spetta un’indennità variabile tra 6 e 12 mensilità della retribuzione globale di fatto; il giudice quantifica l’indennità in base alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro (cd. tutela obbligatoria ridotta).

 

1.3 L’indennità risarcitoria spettante ai lavoratori delle imprese di minori dimensioni (assunti prima del 7 marzo 2015)

Se il licenziamento illegittimo riguarda un lavoratore assunto (prima del 7 marzo 2015) presso un datore di lavoro che non rientra nelle soglie dimensionali indicate dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, si applica la disciplina prevista dall’art. 8 della legge 604/66, la quale stabilisce che al lavoratore spetta, indipendentemente dal vizio del recesso, un’indennità risarcitoria compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità, da determinarsi tenendo conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’impresa, dell’anzianità di servizio del lavoratore, nonché del comportamento e della condizione delle parti.

L’indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a dieci anni, e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a 20 anni.

 

2. L’indennità risarcitoria spettante ai lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015

La recente riforma del lavoro, c.d. Jobs Act, ha introdotto un nuovo regime di tutela in caso di licenziamento illegittimo, che trova la sua disciplina nel decreto legislativo n. 23/15 e che è destinato ad applicarsi a tutti i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato a far data dal 7 marzo 2015.

 

2.1 L’indennità risarcitoria in caso di licenziamento discriminatorio, nullo e inefficace

L’art. 2 del d.lgs. 23/2015 stabilisce che in caso di licenziamento discriminatorio, licenziamento nullo per espressa previsione di legge, licenziamento inefficace perché intimato oralmente e licenziamento che difetti di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, si applichi un unico regime di tutela per tutti i lavoratori – indipendentemente, quindi, dalle dimensioni del datore di lavoro –, che prevede la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, al pagamento di un’indennità risarcitoria a favore del dipendente e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

L’indennità è commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto e corrisponde al periodo intercorrente tra il giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto eventualmente percepito dal lavoratore, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso, l’indennità non può essere inferiore a 5 mensilità.

Fermo restando il diritto a percepire la suddetta indennità, al lavoratore è attribuita la facoltà di sostituire la reintegrazione nel posto di lavoro con un ulteriore indennizzo economico, pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, purché effettui la relativa richiesta entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla comunicazione. L’indennità sostitutiva della reintegrazione non è assoggettata a contribuzione previdenziale.

 

2.2 L’indennità spettante ai lavoratori delle imprese di maggiori dimensioni

Fuori dalle ipotesi previste dall’art. 2, per gli altri casi di licenziamento illegittimo la nuova disciplina prevede regimi sanzionatori diversi a seconda che il datore di lavoro superi o meno le soglie dimensionali fissate dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Per quanto riguarda i licenziamenti comminati dai datori di lavoro di maggiori dimensioni, valgono i seguenti regimi di tutela.

Nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, rispetto al quale sia dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, a quest’ultimo spetta la reintegrazione nel posto di lavoro, il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali e il pagamento di una indennità risarcitoria.

L’indennità è commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto e copre il periodo che va dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. A tale indennità va dedotto sia quanto percepito dal lavoratore per lo svolgimento di altre attività lavorative (il c.d. aliunde perceptum) sia le somme che il lavoratore avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro. In ogni caso, l’indennità non può essere superiore a 12 mensilità.

In tutti gli altri casi di licenziamento individuale ingiustificato o intimato in violazione delle procedure prescritte dalla legge (ad es. in materia di licenziamento disciplinare), il rapporto si estingue comunque e al lavoratore è dovuta unicamente una indennità che oscilla tra le 4 e le 24 mensilità (da 2 a 12, se si tratta di violazione procedimentale).

Più in particolare, l’art. 3, co. 1, del decreto stabilisce che in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, allorché il giudice accerti l’illegittimità del licenziamento, dichiara l’estinzione del rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a 2 mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio (la base di calcolo è costituita, anche in questo caso, dall’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto).

In ogni caso, l’indennità non potrà essere inferiore a 4 mensilità, né potrà superare le 24 mensilità.

Ai sensi dell’art. 10, il medesimo regime sanzionatorio (indennità pari a due mensilità per ogni anno di servizio, comunque ricompresa tra 4 e 24 mensilità) trova applicazione anche nei casi di licenziamento collettivo illegittimo per violazione della procedura prescritta dalla legge o per violazione dei criteri di scelta.

Al lavoratore spetta un mero indennizzo economico anche nell’ipotesi di licenziamento illegittimo per violazione del requisito della motivazione (art. 2, co. 2, legge 604 del 1966) o per violazione della procedura prescritta dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.

In questi casi, tuttavia, l’indennità risulta dimezzata: sarà pari a 1 mensilità per ogni anno di servizio, con un limite minimo di 2 mensilità e un limite massimo pari a 12 mensilità.

 

2.3 L’indennità spettante ai lavoratori delle imprese di minori dimensioni

Per quanto riguarda i dipendenti presso strutture che non raggiungono le soglie numeriche richieste per l’applicazione dell’art. 18 della legge 300/1970, la nuova disciplina stabilisce l’applicazione dello stesso regime di tutele previsto per i dipendenti delle imprese di maggiori dimensioni, con due differenze: è esclusa la reintegrazione nell’ipotesi del licenziamento disciplinare dichiarato illegittimo per insussistenza del fatto materiale e la tutela economica risulta sostanzialmente dimezzata.

Vale a dire che, in caso di licenziamento illegittimo di un lavoratore occupato presso un datore di lavoro minore, la reintegrazione varrà solo nelle ipotesi di licenziamento discriminatorio, nullo, orale e per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore.

Negli altri casi, il lavoratore avrà diritto esclusivamente a un indennizzo economico, così calcolato:

  • in caso licenziamento intimato per giusta causa, per giustificato motivo soggettivo o per giustificato motivo oggettivo, l’indennizzo è pari a 1 mensilità per ogni anno di servizio; in ogni caso, l’indennizzo non può essere inferiore a 2 mensilità, né può superare le 6 mensilità;
  • in caso di licenziamento illegittimo per violazione dell’obbligo di motivazione previsto dall’art. 2, co. 2, della legge 604/1966, ovvero, nell’ipotesi di licenziamento disciplinare, per violazione della procedura prevista dall’art. 7 della Legge 300 del 1970, l’indennizzo sarà invece pari a mezza mensilità per ogni anno di servizio, con un limite minimo di 1 mensilità e un limite massimo di 6 mensilità.

 

Questione n. 2

Il lavoratore illegittimamente licenziato ha diritto al risarcimento del danno morale e del danno all’immagine?

Con la sentenza n. 3147 dell’1/4/99, la Corte di cassazione ha stabilito che il licenziamento illegittimo, se ingiurioso, può portare al risarcimento del danno morale e del danno all’immagine.

La questione non è esplicitamente disciplinata dalla legge, che contempla solamente la possibilità di risarcire il pregiudizio economico subito dal lavoratore a seguito di un illegittimo licenziamento, mentre non è disciplinato il caso in cui il lavoratore subisca anche pregiudizi di natura morale e comunque non patrimoniale. Come è ovvio, si tratta di una lacuna importante, giacché un licenziamento potrebbe essere ingiurioso e, quindi, comportare anche danni di questo tipo.

La lacuna legislativa è stata colmata, come si diceva, dalla giurisprudenza della Suprema Corte. Il caso riguardava una lavoratrice licenziata con l’accusa di aver falsificato la copia del contratto di lavoro in suo possesso. La vicenda è pervenuta da ultimo al giudizio della Corte di cassazione che, con la sentenza sopra citata, ha enunciato importanti principi in materia.

In primo luogo, la Corte ha riconosciuto che il licenziamento in questione fosse realmente ingiurioso, stante la gravità delle accuse rivolte alla lavoratrice e risultate infondate. Dalla natura ingiuriosa del licenziamento, prosegue la Corte, possono configurarsi in linea teorica due danni non patrimoniali. Il primo di tali danni è quello morale, ovvero la sofferenza subita dalla persona colpita dall’ingiuria; il secondo è il danno alla reputazione, che può essere pregiudicata dalla ingiuria insita nel licenziamento.

La distinzione tra i due danni in questione non è solo concettuale. Infatti, osserva la Corte, il danno morale deriva immediatamente dalla percezione dell’ingiuria da parte dell’offeso e, dunque, non richiede altra prova che la ricezione della comunicazione ingiuriosa. In altre parole, il danno morale è implicito nel licenziamento ingiurioso e, dunque, in questo caso, deve essere necessariamente risarcito, senza che sia necessaria una prova particolare da parte del lavoratore.

Diverso è invece il caso del danno alla reputazione, che sussiste solo in quanto la comunicazione ingiuriosa sia stata comunicata ad altre persone, e sarà tanto più rilevante quanto più ampia sia stata la diffusione dell’ingiuria. Pertanto, il lavoratore può ottenere il risarcimento di tale danno solo a condizione di provare che l’ingiuria insita nel licenziamento sia stata pubblicizzata dal datore di lavoro, con ciò ledendo la sua reputazione, soprattutto sotto il profilo professionale e sociale.

Prima di concludere, conviene precisare che il principio enunciato dalla Corte non si scontra con la regola secondo cui il danno morale è risarcibile solo se causato da un reato, e ciò stante la natura delittuosa dell’ingiuria.