Con l’Ordinanza n. 24416 del 2 settembre 2025, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro ha ribadito che l’indennità sostitutiva del preavviso, proprio per la sua natura retributiva, è soggetta a contribuzione obbligatoria sin dal momento in cui il licenziamento senza preavviso diventa efficace. È irrilevante che il lavoratore vi rinunci, poiché tale rinuncia non può incidere sul diritto dell’INPS a ricevere la contribuzione già maturata.
Il caso riguardava una società a cui l’INPS aveva contestato l’omesso versamento dei contributi sull’indennità sostitutiva del preavviso non corrisposta a tredici dipendenti licenziati. L’azienda sosteneva che non vi fosse alcun obbligo contributivo, poiché i lavoratori avevano rinunciato all’emolumento. La Corte d’Appello aveva accolto questa tesi, ma l’Istituto previdenziale ha impugnato la decisione in Cassazione.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’INPS, ricordando che l’obbligazione contributiva ha natura pubblicistica e autonoma rispetto al rapporto retributivo tra datore di lavoro e lavoratore. Di conseguenza, nessuna volontà negoziale – come una rinuncia o un accordo transattivo – può modificarla o escluderla.

Richiamando il principio del minimale contributivo, previsto dall’articolo 1 del Decreto-legge n. 338/1989, la Cassazione ha ribadito che la base imponibile ai fini contributivi non può essere inferiore alla retribuzione dovuta per legge, regolamento o contratto collettivo. Conta dunque la retribuzione “dovuta”, non quella effettivamente pagata: risultano quindi irrilevanti sia l’omesso pagamento del datore di lavoro, sia gli accordi di rinuncia del dipendente.
L’indennità sostitutiva del preavviso, avendo natura retributiva, è soggetta a contribuzione nel momento in cui il licenziamento diventa efficace, anche se non viene materialmente corrisposta. La rinuncia del lavoratore non incide sul diritto dell’INPS, che resta titolare del credito contributivo.
La Corte ha quindi cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte territoriale, riaffermando con chiarezza che il principio del minimale contributivo è inderogabile e che la tutela previdenziale non può essere pregiudicata da pattuizioni individuali.
Questo ufficio Studi ha più volte pubblicato articoli in riferimento a questo argomento, l’orientamento che abbiamo tenuto è un po’ più amplio rispetto alla valutazione della sentenza ed in maniera  schematica il seguente:

Validità della rinuncia al preavviso
Se il lavoratore e il datore di lavoro sottoscrivono un accordo in sede protetta ex art. 410 o 411 c.p.c., con rinuncia reciproca al preavviso, l’accordo è pienamente valido e opponibile anche all’INPS, perché si tratta di atto che gode di efficacia transattiva e certificante.
Dal punto di vista civilistico, quindi, non esiste un credito di preavviso né una rinuncia a un credito già maturato, ma semplicemente un patto che estingue consensualmente il rapporto senza obblighi di preavviso né corrispettivo sostitutivo.
L’INPS, però, in più casi ha ritenuto che il mancato pagamento del preavviso non impedisca la contribuzione, se il diritto al preavviso risulta dovuto contrattualmente, anche se non corrisposto.
La logica dell’ente è questa: il contributo previdenziale è dovuto su tutti gli emolumenti che il lavoratore ha diritto di percepire in virtù del rapporto, anche se poi rinuncia al pagamento.
Tuttavia, la giurisprudenza ha distinto due ipotesi:

  • a) Rinuncia successiva e unilaterale del lavoratore: in tal caso, l’INPS può pretendere i contributi, poiché la rinuncia non incide sull’obbligo contributivo già sorto (Cass. n. 24213/2022 – Ordinanza 24416 del 2 settembre 2025).
  • b) Risoluzione consensuale in sede protetta, con rinuncia reciproca al preavviso prima che sorga il diritto all’indennità sostitutiva: in questo caso, l’obbligo contributivo non nasce affatto, poiché manca il presupposto economico (non è mai sorto un credito o un debito per indennità di preavviso), tuttavia in questo caso la risoluzione consensuale pregiudicherà il percepimento della Naspi.

Sul punto, non esiste una circolare INPS univoca, ma la giurisprudenza di legittimità tende a riconoscere che:
L’obbligo contributivo è correlato all’effettiva esistenza del credito retributivo, e non sussiste se, nell’ambito di una risoluzione consensuale perfezionata in sede protetta, il diritto al preavviso non è sorto per effetto dell’accordo stesso.”
(Cass. civ., sez. lav., n. 17834/2015; Cass. civ., sez. lav., n. 21256/2021)
Pertanto, se l’accordo:

  • -è stipulato prima della cessazione del rapporto consensualmente;
  • -è assistito o certificato (410 o 411 c.p.c.);
  • -prevede rinuncia reciproca al preavviso senza corresponsione di somme;

allora l’INPS non può legittimamente richiedere contribuzione sull’indennità di preavviso “figurativa”, perché questa non è mai sorta né dovuta.
In pratica, il rischio non è inesistente, ma è molto basso purché:

  • l’accordo espliciti chiaramente che la risoluzione è consensuale e non è dovuta alcuna indennità sostitutiva di preavviso, perché le parti ne hanno concordemente escluso l’obbligo;
  • sia depositato o certificato in sede sindacale o avanti l’Ispettorato Territoriale del Lavoro;
  • il datore non abbia contabilizzato né accantonato alcuna somma a titolo di preavviso.

L’INPS, in caso di verifica, potrebbe inizialmente contestare la mancata contribuzione per automatismo, ma in sede di controdeduzione è possibile dimostrare l’insussistenza del credito, producendo il verbale di conciliazione.