La trattativa per il rinnovo del CCNL Metalmeccanici sta entrando in una fase delicata, quasi sospesa, come se le parti continuassero a parlarsi senza però riuscire davvero a sentirsi. Gli incontri del 13 e 14 novembre hanno confermato ciò che molti temevano: il dialogo va avanti, ma le distanze restano solide. E il nodo centrale, inevitabilmente, è il salario. Da una parte le imprese chiedono gradualità e sostenibilità, dall’altra i sindacati insistono sulla necessità di un intervento forte che recuperi potere d’acquisto e ridia dignità al lavoro metalmeccanico.

Federmeccanica e Assistal hanno ribadito con fermezza che l’attuale quadro macroeconomico non consente scatti retributivi troppo ambiziosi. Parlano di equilibrio industriale, di continuità delle aziende, della necessità di non soffocare margini che in molti settori si sono assottigliati. Invocano modelli di rinnovo più sobri, che includano welfare aziendale, formazione tecnica e innovazione organizzativa. Temi importanti, certo, e in parte condivisi anche dai sindacati, ma che non toccano il cuore del confronto: quanto aumenteranno davvero i minimi?

Dall’altro lato del tavolo, Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil restano compatti su una richiesta chiara: circa 280 euro lordi mensili al livello C3. Non solo numeri, ma una risposta politica a un settore dove il costo della vita corre più veloce dei contratti collettivi. Le sigle sindacali ricordano che dietro ogni cifra ci sono lavoratori che negli ultimi anni hanno retto trasformazioni profonde — digitali, green, produttive — spesso senza un adeguato riconoscimento economico. Chiedono anche più certezze sull’occupazione, una riduzione dell’abuso del tempo determinato, un rafforzamento della salute e sicurezza e una vera valorizzazione della formazione continua.

Il clima negli incontri di novembre è stato definito “costruttivo” ma il tempo stringe. I sindacati sono stati espliciti: senza risposte sul salario e sull’inquadramento, si valuteranno iniziative più incisive. E non è una minaccia vuota, ma la consapevolezza che ogni rinnovo ha una finestra temporale oltre la quale tutto diventa più difficile, più conflittuale, più costoso.

Le imprese, nel documento diffuso a fine lavori, hanno voluto sottolineare la volontà di mantenere un dialogo continuo. Rivendicano prudenza, sostenibilità, necessità di allineare il rinnovo alle condizioni reali dei mercati metalmeccanico e impiantistico. Si dicono pronte a investire su formazione, innovazione e partecipazione. È un terreno su cui si intravede qualche convergenza, ma non basta. Il vero conflitto resta quello economico.

Dal 19 al 21 novembre la trattativa riprenderà, con l’obiettivo di entrare finalmente nel merito delle proposte e provare a definire un perimetro condiviso. L’auspicio è arrivare a un accordo entro la fine dell’anno, ma dipenderà dalla capacità delle parti di avvicinare posizioni che oggi restano distanti.

I nodi sul tavolo sono ancora molti. L’aumento dei minimi tabellari, il welfare contrattuale, il nuovo sistema di inquadramento, le tutele nella transizione digitale e verde, la formazione continua obbligatoria. Sono questioni che richiedono visione e responsabilità, perché incidono non solo sul presente ma sul modo in cui sarà strutturato il lavoro metalmeccanico dei prossimi anni. Tuttavia è il salario, inevitabilmente, a segnare il punto più critico. I sindacati parlano di un rinnovo “di forte impatto” per dare ossigeno ai lavoratori; le imprese chiedono realismo, sostenibilità, prudenza.

Tra queste due esigenze, entrambe legittime ma difficili da conciliare, si giocherà il destino del nuovo CCNL. E forse il vero interrogativo, a questo punto, non è più “quando si chiuderà il contratto”, ma “quale idea di lavoro metalmeccanico prevarrà nei prossimi anni”.