La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24994 dell’11 settembre 2025, ha ribadito che, nei casi di licenziamento per sopravvenuta disabilità o inidoneità alle mansioni, il datore di lavoro non può limitarsi a constatare l’impossibilità di ricollocare il dipendente, ma deve dimostrare di aver valutato e tentato ogni possibile accomodamento ragionevole prima di procedere al recesso. Ai sensi dell’art. 3, comma 3-bis, del D.Lgs. 216/2003, il datore è tenuto a ricercare soluzioni organizzative che, senza oneri sproporzionati, consentano alla persona disabile di continuare a lavorare in mansioni compatibili con la sua condizione, in coerenza con i principi di solidarietà, buona fede e correttezza. La Corte richiama precedenti come le sentenze Cass. n. 6497/2021, n. 15002/2023 e n. 14307/2024, sottolineando che l’onere di provare l’impossibilità di adottare tali soluzioni grava sul datore di lavoro. L’impossibilità di assegnare nuove mansioni non basta dunque a giustificare il licenziamento se non si dimostra di aver esplorato alternative organizzative ragionevoli. A completamento del quadro, il recente art. 17 del D.Lgs. 62/2024 ha inserito nell’art. 5-bis della L. 104/1992 una definizione aggiornata di “accomodamento ragionevole” e una procedura che riconosce al lavoratore il diritto di partecipare alla sua individuazione, rafforzando così la tutela contro i licenziamenti basati esclusivamente sull’inidoneità fisica.