La trasparenza retributiva non è più una formula di principio né un tema riservato alle grandi imprese multinazionali. Con la Direttiva (UE) 2023/970, l’Unione europea interviene in modo diretto e strutturale sull’organizzazione dei sistemi retributivi aziendali, imponendo un cambiamento profondo nel modo in cui salari, progressioni economiche e differenze retributive vengono determinati e comunicati. LEGGI Direttiva (UE) 2023/970

L’obiettivo dichiarato è la riduzione del divario retributivo di genere, ma la portata della disciplina è molto più ampia. La direttiva mira a rendere effettivo il diritto alla retribuzione equa e proporzionata, trasformando la trasparenza da valore astratto a criterio giuridicamente verificabile. Non si tratta, dunque, di “pubblicare i salari”, bensì di rendere conoscibili e controllabili le regole che governano le retribuzioni.

Il fondamento giuridico di questo intervento si colloca in un quadro normativo già consolidato. Il principio di parità retributiva trova la sua base nell’articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che impone agli Stati membri di garantire la parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. LEGGI articolo 157 TFUE

A questo si affianca la Direttiva 2006/54/CE, che ha riordinato la normativa europea in materia di pari opportunità e parità di trattamento in ambito lavorativo. LEGGI Direttiva 2006/54/CE

La novità della Direttiva 2023/970 sta però nel metodo. Il legislatore europeo prende atto che le disuguaglianze retributive non si alimentano solo attraverso discriminazioni dirette, ma anche tramite sistemi opachi, negoziazioni individuali non governate e criteri informali di attribuzione del salario. Per questo la trasparenza diventa uno strumento preventivo, prima ancora che sanzionatorio.

Il primo ambito interessato è quello dell’accesso al lavoro. Le imprese saranno tenute a indicare la retribuzione iniziale o la relativa fascia già nell’offerta di lavoro o, comunque, prima del colloquio. Viene inoltre vietata la richiesta di informazioni sulle retribuzioni percepite in precedenti rapporti di lavoro. Questa scelta normativa è tutt’altro che neutra: serve a impedire che disuguaglianze pregresse continuino a riflettersi, automaticamente, nei nuovi rapporti di lavoro.

Una volta instaurato il rapporto, la trasparenza assume la forma di un vero e proprio diritto soggettivo del lavoratore. Ogni dipendente potrà richiedere informazioni sul proprio trattamento economico e sui livelli retributivi medi, distinti per genere, relativi alla categoria di appartenenza. Il datore di lavoro dovrà fornire una risposta scritta e informare periodicamente il personale dell’esistenza di questo diritto. In questo modo, la retribuzione entra a pieno titolo nel perimetro delle informazioni aziendali accessibili, rompendo una tradizionale cultura del silenzio salariale.

Accanto al diritto individuale, la direttiva introduce obblighi di reporting sul gender pay gap, calibrati in funzione delle dimensioni aziendali. Le imprese di maggiori dimensioni saranno tenute a pubblicare con regolarità i dati sul divario retributivo, mentre per le imprese medio-piccole l’obbligo scatterà in modo progressivo. Anche laddove non vi sia un obbligo diretto e immediato, la trasparenza tenderà comunque a imporsi attraverso richieste di filiera, appalti pubblici e criteri ESG.

Un passaggio particolarmente delicato è quello relativo agli scostamenti significativi. Qualora emerga un divario retributivo pari o superiore al 5% non giustificabile da criteri oggettivi e neutrali, l’impresa dovrà attivare una valutazione congiunta con le rappresentanze dei lavoratori e definire misure correttive concrete. Qui la trasparenza si trasforma in responsabilità organizzativa e dialogo sociale, rafforzando il ruolo delle relazioni sindacali anche a livello aziendale.

Sul piano delle tutele, la direttiva incide in modo deciso sul contenzioso. È prevista l’inversione dell’onere della prova, il diritto a un risarcimento integrale – comprensivo del danno non patrimoniale – e l’introduzione di sanzioni effettive e dissuasive. In assenza di criteri retributivi formalizzati e documentabili, la posizione del datore di lavoro diventa strutturalmente più debole.

L’Italia dovrà recepire la Direttiva (UE) 2023/970 entro il 7 giugno 2026. Il percorso normativo è già stato avviato con la Legge 21 febbraio 2024, n. 15 , che delega il Governo all’adozione dei decreti legislativi attuativi.

In attesa dei decreti di recepimento, il messaggio per le imprese è già chiaro. La trasparenza retributiva non è un adempimento isolato, ma un nuovo modo di concepire la gestione del personale. Prepararsi significa analizzare la coerenza interna delle retribuzioni, definire criteri oggettivi di valutazione delle posizioni, rendere tracciabili le decisioni economiche e formare chi opera nei processi HR.

Per le PMI, in particolare, il tempo che precede il recepimento rappresenta una finestra strategica. Intervenire ora consente di ridurre il rischio di contenzioso futuro, migliorare il clima aziendale e rafforzare la credibilità dell’impresa sul mercato del lavoro. La trasparenza, in questa prospettiva, non è solo una risposta a un obbligo europeo, ma una leva di qualità organizzativa.

In conclusione, la trasparenza retributiva riguarda tutti: datori di lavoro, lavoratori, professionisti e parti sociali. Riguarda il modo in cui il valore del lavoro viene misurato, riconosciuto e spiegato. È una sfida giuridica e culturale che, se affrontata con metodo e anticipo, può trasformarsi da vincolo normativo in fattore di equilibrio, fiducia e competitività.