La riforma dell’art.2103 cod.civ. da parte del D.Lgs. n.81/15 ha introdotto nuovi principi nella regolamentazione delle mansioni, che consentono una variabilità molto più estesa, con una disciplina specifica anche nel caso di adibizione a mansioni inferiori.

 Superamento dell’equivalenza e l’esclusivo riferimento ai livelli contrattuali

Con l’approvazione del D.Lgs. n.81/15, secondo quanto previsto dall’art.3, è in vigore una nuova disciplina delle mansioni, derivante dalla profonda opera di riscrittura dell’art.2103 cod.civ.

Analizzando brevemente le principali novità, innanzitutto emerge come sia stato superato il criterio dell’equivalenza professionale come limite alla variazione delle mansioni: il margine per il mutamento oggi è definito esclusivamente dal “livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”.

Ne consegue che tutte le mansioni ricomprese nel livello contrattuale del lavoratore risultano essere esigibili dal datore di lavoro, sempre che si riferiscano alla categoria legale posseduta dal lavoratore (operaio, impiegato, quadro e dirigente).

La disciplina oggi vigente semplifica le scelte aziendali organizzative e comprime lo spazio interpretativo della giurisprudenza, limitato al rispetto della categoria legale e dell’inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva.

 

 

Legittimità della riduzione delle mansioni per esigenze organizzative

In particolare, nella sentenza Cassazione n.23945 del 24 novembre 2015, la Suprema Corte ha affermato che “specialmente nel momento in cui esigenze organizzative e produttive inducano mutamenti soggettivi nella titolarità del rapporto di lavoro, con incorporazioni o fusioni societarie, oppure con cessioni d’azienda o di singoli rami, è frequente che nelle categorie e qualifiche più alte, nelle quali l’attribuzione delle mansioni più facilmente si basa sull’intuitus personae, si possono avere diminuzioni di compiti e di responsabilità non gratificanti ma neppure contrastabili in sede giudiziaria, onde non frustrare operazioni economiche, legittimamente perseguite nell’esercizio del potere di gestire l’impresa e, se occorra, di risanarla in tutto o in parte”.

 

 

Legittimità della riduzione delle mansioni per esigenze organizzative: l’evoluzione normativa

Il Legislatore della riforma, tenuto conto di quanto sviluppatosi in giurisprudenza, ha dotato di un’espressa regolamentazione l’adibizione a mansioni inferiori. Ovviamente, il carattere inferiore ora è determinato solo dall’appartenenza delle nuove mansioni a un livello inferiore nella contrattazione collettiva.

In particolare, il co.2, art.2103 cod.civ., prevede la possibilità, in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla posizione del lavoratore, di assegnare il lavoratore a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale (operai, impiegati e quadri)

L’espressione utilizzata, “modifica degli assetti organizzativi aziendali”, è estremamente generica: l’importante è che vi sia un meccanismo causale che porta consequenzialmente alla riduzione delle mansioni del lavoratore. A tutela del lavoratore, il co.5, art.2103 cod.civ., prevede la conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo. Per potere incidere su tali elementi, il co.6, art.2103 cod.civ., richiede la sottoscrizione di accordi individuali nelle sedi protette prevista dall’art.2113, co.4 cod.civ., ovvero avanti alle commissioni di certificazione.

Nulla è previsto in merito alla durata della variazione peggiorativa delle mansioni e, pertanto, si ritiene che essa possa essere disposta anche a tempo indeterminato. Vero è che il lavoratore ha un teorico diritto a vedersi assegnate le mansioni proprie del livello nel quale è inquadrato. Inoltre, in caso di successive scoperture di organico riguardanti le mansioni originarie del lavoratore, il lavoratore legittimamente demansionato potrebbe far valere il diritto alla riassegnazione, dalla cui lesione si ritiene possano derivare solo effetti risarcitori per la c.d. perdita di chance.

Variazione delle mansioni: procedure

Oltre al rispetto dei criteri sopra indicati, la variazione di mansioni, dello stesso livello o di livello inferiore, deve essere accompagnata dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni.

Solo nel caso di assegnazione a mansioni inferiori il mutamento, ovvero la motivazione  deve essere comunicata, pena nullità, in forma scritta.

 

Assegnazione a mansioni superiori

La riforma dell’art.2103 cod.civ. ha riguardato anche l’assegnazione a mansioni superiori, dove è stato raddoppiato il termine massimo, ora pari a 6 mesi previsti espressamente come continuativi, che fa scattare il diritto alla promozione automatica. Come ulteriore novità, il co.7, art.2103 cod.civ., riconosce al lavoratore il diritto a non consolidare in modo definito l’assegnazione a mansioni superiori. Si ritiene che la rinuncia al livello superiore non rientri nella disciplina dell’art.2113 cod.civ. e, quindi, sia valida anche se espressa non in sede protetta, ferma restando l’utilità di tale contesto per evitare eventuali vizi legati alla volontà del lavoratore (es. consenso estorto sotto minaccia di licenziamento).

 

 

Entrata in vigore del nuovo testo dell’art.2103 cod.civ.

La prima questione da affrontare riguarda l’entrata in vigore del nuovo testo dell’art.2103 cod.civ., in particolare se possa essere applicato a demansionamenti iniziati prima del 25 giugno 2015: sul punto attualmente si registrano due indirizzi. Il Tribunale di Roma, con sentenza del 30 settembre 2015, ha ritenuto applicabile la norma novellata anche ai rapporti di lavoro già in corso alla data della sua entrata in vigore, anche rispetto a mutamenti di mansioni disposti prima del 25 giugno 2015 e ancora in atto dopo quella data. Il demansionamento, infatti, è stato considerato come “una sorta di illecito permanente”. Conseguentemente, la legittimità della variazione delle mansioni “va necessariamente compiuta con riferimento alla disciplina legislativa e contrattuale vigente giorno per giorno; con l’ulteriore conseguenza che l’assegnazione di determinate mansioni che deve essere considerata illegittima in un certo momento, può non esserlo più in un momento successivo”.

Di diverso avviso è il Tribunale di Ravenna, sentenza 22 settembre 2015, dove è stato stabilito che “la nuova normativa […] non si può applicare alla fattispecie perché il fatto generatore del diritto allegato al giudizio (il demansionamento) si è prodotto nel vigore della legge precedente. Ed il fatto che segna il discrimine tra una normativa e l’altra è proprio il prodursi del demansionamento”.

 

Inquadramento o variazione in mansioni non previste dalla contrattazione collettiva

La seconda complessa problematica riguarda le mansioni e le qualifiche professionali non regolamentate dalla contrattazione collettiva, sia nel caso di determinazione della prestazione al momento dell’assunzione sia in occasione di una successiva variazione.

In tali situazioni non si può che procedere con valutazioni che si basino su un giudizio di equivalenza, fermo tuttavia agli aspetti di inquadramento contrattuale e non legato alla tutela della professionalità del lavoratore: l’integrazione alla declaratoria contrattuale ben potrebbe essere effettuata anche mediante atto unilaterale del datore di lavoro, come può essere il regolamento aziendale, soprattutto nel caso di variazione successiva all’assunzione.

Ovviamente, è sicuramente consigliabile un accordo sindacale aziendale, volto a comprovare l’oggettività dell’integrazione operata, soprattutto se le mansioni non previste dal contratto collettivo riguardano un’attività quantitativamente rilevante nel contesto aziendale.

Assegnazione a mansioni promiscue

L’assegnazione a mansioni promiscue, soprattutto se di livelli diversi, nel momento di instaurazione del rapporto di lavoro richiede attenzione al fine di definire il livello contrattuale di inquadramento.

Qualora la contrattazione collettiva non preveda una regola specifica per l’individuazione della categoria di appartenenza del lavoratore occorre avere riguardo alle mansioni maggiormente qualificanti, purché svolte in misura quantitativamente significativa (Cass. n.23612/15, n.26978/09 e n.6303/11).

 

Variazione delle mansioni per evitare il licenziamento del lavoratore

In materia di licenziamento per motivo oggettivo, la giurisprudenza ha introdotto ormai da molti anni il c.d. obbligo di repêchage, in base al quale il datore di lavoro, prima di procedere con il licenziamento, deve verificare che il lavoratore non possa essere reimpiegato in altre mansioni scoperte in azienda.

L’estensione della verifica del datore di lavoro è condizionata dalle mansioni esigibili del lavoratore: il nuovo testo dell’art.2103 amplia notevolmente i margini di verifica, visto che anche le mansioni inferiori, nel limite del livello immediatamente inferiore, rientrano tra esse. In base al testo previgente dell’art.2103 cod.civ., l’orientamento prevalente in giurisprudenza limitava il repêchage alle mansioni equivalenti, ferma restando la possibilità che il lavoratore prospettasse disponibilità all’assegnazione a mansioni inferiori